Cosa fare se, una volta istituita una società, il socio di minoranza si rivela troppo impositivo?
I consigli dell’esperta e tutte le possibilità che si aprono per cambiare la situazione: spieghiamo come la legge consente di intervenire in questi casi
In un precedente intervento abbiamo affrontato il caso del titolare che, stanco e privo di parenti pronti a supportarlo, decide di costituire una società con un socio di minoranza operativo. Con la nostra esperta fiscalista, Paola Castelli, vediamo come comportarsi qualora il socio di minoranza tenti di allargarsi troppo e, quindi, il socio di maggioranza sia così stufo da pensare di tornare sui propri passi e di gestire l’azienda quale imprenditore individuale o Srl unipersonale, ovvero di cedere addirittura il 100% delle quote societarie.
Dottoressa Castelli, a volte la scelta di unire le forze può funzionare, altre volte, invece, si rivela un flop. Cosa può fare il socio di maggioranza nel secondo caso?
La scelta di costituire una società (Snc, Sas o Srl) con un socio minoritario può rivelarsi una decisione valida, come può anche rappresentare una scelta infelice.
Tale ultima eventualità può, tra le varie ipotesi, essere dovuta a una divergenza di opinioni in merito alla gestione e alla conduzione dell’attività aziendale ovvero a scelte o esigenze di vita diverse subentrate negli anni.
Considerata l’aleatorietà è fondamentale redigere patti sociali (nel caso di Snc e Sas) ovvero statuti (nel caso della Srl) nonché patti parasociali che non diano adito a pretese astruse da parte del socio di minoranza, anche con riferimento all’eventuale cessione della propria quota di partecipazione: è giusto tutelare entrambi i soci, ma è altrettanto corretto avere anche un occhio di riguardo per il socio di maggioranza, che, in fondo, è quello che, per i doveri e le responsabilità assunte, rischia maggiormente.
In un precedente intervento abbiamo già parlato di un’importante clausola da inserire nei patti sociali (Snc o Sas) ovvero negli statuti (Srl) la “drag along”, meglio nota anche come clausola di trascinamento, ossia la possibilità di vincolare il socio di minoranza ed evitare che, qualora il socio di maggioranza decida di cedere la propria quota di partecipazione a terzi, quello di minoranza possa fare ostruzionismo: siamo onesti, chi acquista vuole acquistare il 100% di una società, non bruscoli.
Ma cosa succede se il socio di maggioranza volesse acquistare la quota di partecipazione del socio minoritario anche contro la volontà di quest’ultimo? Ecco che, tra le possibili clausole prevedibili in sede di costituzione della società e/o di sue successive modifiche, in soccorso del socio di maggioranza arriva la “squeeze out” (cosiddetta clausola di esclusione): si tratta di una clausola di origine anglosassone, che in Italia trova uno specifico inquadramento con riferimento alle società di capitali quotate (art. 111 del Testo Unico della Finanza), ma che, considerata la libertà pattizia e statutaria vigente nel nostro ordinamento, è possibile prevedere anche nelle società di persone e di capitali non quotate e, quindi, anche per il mondo farmacia.
Se ben comprendo dal disegno, caro socio di minoranza “ti stringo così forte” da farti uscire per forza, giusto?
Il disegno è volto a far capire il concetto, ma non è che il socio di minoranza viene spremuto come un dentifricio o un limone. Certo è che, qualora non dovesse ragionare sul futuro societario, lo stesso dovrà prendere atto della sua posizione di minoranza e accettare la sua “squeezatura”. Ma andiamo al sodo e vediamo, con parole molto semplici, in cosa consiste la squeeze out.
Brava dottoressa, non ci faccia spremere troppo le meningi e ci faccia capire, come sempre, con parole semplici e incisive di cosa si tratta.
Per effetto della clausola in commento il socio di maggioranza può acquistare le quote del socio di minoranza, escludendolo dalla società. Più nel dettaglio, il socio di maggioranza, che detiene una rilevante percentuale di quote sociali (generalmente il 90-95% del capitale sociale), ha diritto di acquistare coattivamente dal socio di minoranza la quota di partecipazione residua, anche contro la volontà di quest’ultimo, arrivando così ad ottenere il controllo totale della società. È importante che tale clausola sia ben definita e che preveda chiare condizioni e modalità di esercizio della “spremitura”, per garantire una corretta tutela di entrambi i soci, evitando di minare ab origine la fiducia tra di loro.
Vi starete chiedendo: dov’è la tutela del socio minoritario squeezato? La tutela risiede nel fatto che il prezzo di acquisto coattivo della sua quota di partecipazione residua deve essere equo (“fair value”) e, comunque sia, potenzialmente superiore al corrispettivo del suo recesso dalla società.
Dulcis in fundo, quando conviene valutare la “squeeze out clause”?
È tempo di vendemmia e la clausola in esame può rivelarsi uno strumento utile per la gestione di situazioni di conflitto tra i soci ovvero per semplificare operazioni straordinarie; la previsione o meno di tale clausola in sede di costituzione della società e/o di sue successive modifiche deve essere attentamente ponderata con il proprio consulente, per evitare eccessivi abusi non rispettosi della vigente normativa. Come sempre, prevenire è meglio che curare, valutando costi e benefici, con equilibrio.
(Paola Castelli, Farma Mese N. 7-2025 ©riproduzione riservata)