Intelligenza artificiale, il rapporto umano resta imprescindibile anche per la GenZ

Possiamo darlo quasi per scontato: se iniziamo una chiacchierata con qualcuno sul tema dell’intelligenza artificiale e di come questa trasformerà il futuro del lavoro, il cosiddetto “sentiment” comune sarà pressoché univoco.

Si parlerà di posti di lavoro che scompaiono, della progressiva digitalizzazione e automatizzazione di qualsiasi attività, insomma di un mondo in cui tutto viene fatto dalle macchine e sempre meno gente lavora. Senza entrare, peraltro, nell’ulteriore passaggio: ma se le persone non lavorano, come possono vivere? Chi comprerà ciò che viene prodotto in modo automatico da apparecchiature guidate da software intelligentissimi?

Ebbene, è fuori discussione che il progresso tecnologico abbia una velocità inimmaginabile. Ed è altrettanto vero che esso non vada demonizzato: anzi! Pensiamo a come, grazie all’intelligenza artificiale, si riescano ad accelerare in modo impressionante determinati processi di ricerca scientifica, potendo produrre risultati di calcoli e sperimentazioni in poche ore, rispetto ai diversi mesi che sarebbero stati necessari con gli approcci tradizionali. E questo è solo uno dei tantissimi esempi che si possono fare. Ritornando alla chiacchierata a cui facevamo riferimento all’inizio di questo articolo, un’altra argomentazione di facile utilizzo riguarda il fatto che i giovani, la cosiddetta Gen Z, vogliano tutto automatizzato per risparmiare tempo, essendo cresciuti in questo genere di contesto. Ma attenzione!

È proprio qui che rischiamo di sbagliarci. Il fatto interessante è che le giovani generazioni tendono sempre più a riscoprire il valore del rapporto personale e delle emozioni. Un recente sondaggio svolto negli Stati Uniti, per esempio, ha mostrato come il 40% delle generazioni Y (i millennial) e Z preferisce l’agenzia di viaggi rispetto all’organizzazione in proprio di un viaggio e questo perché la rete, ovviamente, è strabordante di informazioni di ogni tipo, sulla cui qualità è difficile avere certezze. Questo fa il paio con il timore di perdersi qualcosa (magari di rilevante). E allora facciamolo organizzare all’agente di viaggio, visto che è il suo mestiere e dovrebbe saperlo fare bene!

Ci sono altri esempi che possiamo citare in merito al ritorno ad approcci in apparenza “vintage”. Alcune case automobilistiche, per esempio, tornano a inserire pulsanti e manopole sulle auto, andando oltre il trend che prevedeva tutto “touch screen”. Persino Ikea ha reintrodotto una sorta di catalogo cartaceo!
Che cosa ci dicono questi segnali? Che stiamo tornando indietro? Direi proprio di no: indietro non si torna. Il messaggio, tuttavia, mi sembra chiaro: il rapporto personale, il guardarsi negli occhi, l’acquisizione di fiducia (se stiamo vendendo) o il poterla riporre in una persona (se stiamo acquistando) sono elementi imprescindibili.

Uno studio effettuato dall’università Liuc ha portato alla creazione del concetto di “servitization”, vale a dire una strategia che mette al centro l’erogazione di valore continuo e personalizzato. Pensiamo ora a come questo può diventare lo standard in farmacia. Per qualcuno, probabilmente è già un approccio normale.

Ma ciò non esclude il dovere (sì, ho detto dovere…) di fare in modo che il servizio erogato si basi proprio su questo principio. Si tratta di creare un rapporto a lungo termine con il proprio cliente (sì, ho detto cliente), basato sulla fiducia e sulla qualità e varietà (non ho detto quantità) di servizi che possono venire offerti.

Ovviamente tutto ciò non avviene con un click e, soprattutto, non bisogna aspettarsi che il cambio di approccio generi immediatamente un’impennata di fatturato. Quando si lavora sui concetti e sui valori, il tempo vuole la sua parte. Ma una cosa è certa: l’intenzione deve essere chiara e condivisa: si parte dai valori e poi i risultati arrivano. Nonostante l’intelligenza artificiale.

(di Roberto Valente, Farma Mese N. 7-2025 ©riproduzione riservata)

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