Anelli, cerotti, smartwatch che tracciano il sonno, la temperatura, la frequenza cardiaca. In altre parole, la nostra salute. Il mercato dei dispositivi indossabili è in forte espansione, e a ragione: sono strumenti tecnologici preziosi per il benessere di domani.
In un contesto in cui la sanità pubblica sembra ancora ancorata a modelli del secolo scorso, la medicina digitale si fa strada con passo deciso. Tra le trasformazioni più significative, spiccano i dispositivi indossabili -i cosiddetti wearable-, strumenti che stanno ridefinendo il rapporto tra il paziente e la cura. Non si tratta più di semplici accessori tecnologici: oggi parliamo di veri e propri dispositivi intelligenti, capaci di monitorare parametri fisiologici e biometrici in tempo reale, connessi con l’intelligenza artificiale e integrabili nella rete della medicina territoriale.
Pensiamo a un anello, un cerotto smart, uno smartwatch: non soltanto misurano battiti o passi, ma possono tracciare il sonno, la temperatura corporea, la variabilità della frequenza cardiaca, il livello di stress e altri indicatori predittivi dello stato di salute.
L’ascesa globale dei wearable
Nei Paesi tecnologicamente più avanzati come Stati Uniti, Cina e Giappone il mercato dei dispositivi indossabili è in forte espansione, con una stima di crescita che potrebbe superare i 110 miliardi di dollari entro il 2028. Soltanto negli Stati Uniti, quasi una persona su tre utilizza già almeno un dispositivo per il monitoraggio della salute. Numeri che raccontano una tendenza chiara: l’approccio alla cura si sta spostando sempre più verso modelli predittivi e digitali.
Un trend che non nasce dal caso, ma dalla necessità: l’Organizzazione mondiale della Sanità prevede che entro il 2050 la popolazione over60 raddoppierà, con un aumento parallelo di patologie croniche come ipertensione, diabete e malattie cardiovascolari. In questo scenario, i wearable non rappresentano una moda passeggera, ma una risposta concreta e strutturale: strumenti che permettono di monitorare costantemente lo stato di salute, intervenire prima che una condizione si aggravi e alleggerire il carico sui sistemi sanitari.
Ma ciò che li rende davvero efficaci è la loro integrazione con il lavoro dei professionisti: i dati raccolti non sostituiscono la figura del medico o del farmacista, bensì ne potenziano l’azione, offrendo una visione continua, aggiornata e personalizzata del paziente. La tecnologia, in questo senso, non allontana la cura: la rende più tempestiva, più vicina e più intelligente.
I wearable nella pratica clinica
E proprio osservando ciò che sta già accadendo nella pratica clinica, possiamo cogliere con chiarezza il potenziale reale dei wearable. Il FreeStyle Libre ha rivoluzionato il monitoraggio della glicemia, eliminando la necessità di frequenti punture e semplificando la vita quotidiana di moltissimi pazienti diabetici. In uno studio prospettico condotto su giovani con diabete di tipo 1, già in trattamento con microinfusore, l’introduzione del FreeStyle Libre 2 ha portato a un incremento significativo della frequenza di monitoraggio del glucosio, passata da una media di 2,4 a oltre 8 controlli giornalieri nell’arco di 12 settimane. Un cambiamento che si è tradotto in un miglioramento delle pratiche di autogestione e in una riduzione dei livelli di emoglobina glicata, passati da 8,3% a 7,9%, con una maggiore stabilità glicemica complessiva.
Ma l’impatto non si limita solo ai numeri: l’aumento dell’autonomia e del coinvolgimento attivo nella gestione della patologia rappresenta un vero salto di qualità nel percorso terapeutico.
Anche il campo delle neuroscienze beneficia dei progressi in questo settore. Embrace2, per esempio, è un dispositivo da polso progettato per rilevare tempestivamente le crisi epilettiche, integrando sensori che monitorano la conduttanza cutanea e la frequenza cardiaca. Grazie a un algoritmo avanzato di intelligenza artificiale, il sistema è in grado di distinguere con precisione i segnali critici e attivare notifiche immediate ai caregiver.
Studi condotti su dispositivi analoghi hanno evidenziato una sensibilità superiore al 90% e un bassissimo tasso di falsi allarmi, offrendo così una sicurezza concreta a chi convive con l’epilessia, soprattutto in ambito domiciliare o durante il sonno.
Altrettanto rilevante è l’evoluzione dell’Oura Ring, un anello intelligente in grado di fornire una fotografia dettagliata e predittiva dello stato di salute attraverso l’analisi integrata di sonno, temperatura corporea, frequenza cardiaca e variabilità del battito. Uno studio recente ha confermato l’elevato grado di concordanza dei dati con la polisonnografia, standard di riferimento per lo studio del sonno. Non è un caso, dunque, che l’anello venga oggi utilizzato in ambito clinico e nei programmi di prevenzione più avanzati, posizionandosi come uno strumento prezioso per il monitoraggio continuo del benessere psicofisico e utile per l’adozione di strategie personalizzate di salute.
Conclusioni e prospettive future
In conclusione, i dispositivi indossabili stanno progressivamente assumendo un ruolo concreto all’interno dei percorsi di cura, affiancando i professionisti sanitari nel monitoraggio, nella prevenzione e nel supporto alle decisioni terapeutiche. Non si tratta più soltanto di strumenti di consumo o di tendenza, ma di soluzioni tecnologiche che, se integrate correttamente, possono migliorare l’aderenza, anticipare le complicanze e rendere più sostenibile la gestione delle patologie croniche. Tuttavia, affinché queste tecnologie diventino parte integrante dell’assistenza quotidiana, è necessario affrontare alcune sfide tuttora aperte: dalla standardizzazione dei dati all’interoperabilità dei sistemi, dalla formazione degli operatori alla protezione della privacy.
Il potenziale c’è, ma serve un’infrastruttura culturale e organizzativa che lo renda davvero accessibile, equo e clinicamente utile. I wearable non sostituiscono la relazione di cura, ma possono rafforzarla. La vera innovazione, in fondo, non è solamente nel dispositivo, ma nella capacità di ripensare i modelli di assistenza alla luce di una sanità più vicina, più continua e più consapevole.
Fonti:
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(di Paolo Levantino e Tommaso Emanuelli, farmacisti, Farma Mese N. 6-2025 ©riproduzione riservata)