Il farmacista del futuro è chiamato a integrare conoscenze tradizionali e innovazione scientifica per offrire un approccio più completo e inclusivo alla salute. Il convegno “Etnomedicina ed epigenetica: il ruolo del farmacista verso una nuova visione della salute”, organizzato dalla Fondazione Francesca Rava-Nph Italia Ets, ha esplorato l’interconnessione tra medicina tradizionale, influenze ambientali e modulazione epigenetica, sottolineando il ruolo chiave del farmacista nella personalizzazione del consiglio e nel supporto alle terapie che ogni individuo deve seguire e che possono subire influenze di varia natura, anche legate alle differenze di etnia.
Attraverso il contributo di esperti, sono state approfondite nuove prospettive sulla prevenzione e il trattamento delle patologie, ponendo le basi per una farmacia sempre più orientata alla medicina su misura e alla cura personalizzata.
Un significato più ampio di patologia
«L’antropologia medica è una disciplina che guarda alle pratiche terapeutiche rispetto alle dimensioni socio-culturali che le caratterizzano» ha spiegato Ivo Quaranta, professore di Antropologia Alma mater studiorum dell’Università di Bologna. «Pensiamo a come la biomedicina identifica la malattia: tendenzialmente a livello biomedico è definita come un’alterazione di una struttura e del funzionamento dell’organismo biopsichico individuale; una visione che ci porta a definire la malattia principalmente in termini di patologia. Con questa visione tecnica della malattia si può interagire sulle alterazioni anatomiche e fisiologiche con un ottimo livello di efficacia a livello farmacologico».
Ma la domanda che l’antropologia medica si pone è: nel momento in cui, culturalmente, definiamo la malattia esclusivamente nei termini di ciò che accade nel nostro organismo, cosa non stiamo selezionando? «Non selezioniamo che cosa significa per quella persona: la frattura della mia gamba non avrà lo stesso significato se sono un docente universitario o se sono un ballerino all’inizio della carriera professionale. La frattura sarà la stessa, ma il suo significato, l’impatto che avrà sulla vita, sui bisogni della persona è determinato non dalla frattura in sé, ma dall’impatto che avrà sulla vita del paziente» ha specificato Quaranta.
Nel contesto ormai pluriculturale, nel quale viviamo oggi «stare esclusivamente sulla patologia, tagliando fuori il significato che questa ha per il paziente rischia di andare a minare il potenziale di efficacia che la medicina stessa mette in campo, anche perché: possiamo prenderci cura delle persone se non sappiamo nemmeno in che cosa consiste il loro miglior interesse? Stare sulla patologia fornisce, da un lato, un grande margine di efficacia, ma, dall’altro, esclude altre dimensioni».
La fondazione Francesca Rava si occupa di svantaggio e c’è una evidenza anche nella letteratura scientifica di una correlazione lineare tra svantaggio socio-economico, fattori di rischio e insorgenza di patologie. Tra le persone più trascurate ci sono le persone anziane sole, perché il loro isolamento fa sì che nemmeno arrivino a rappresentare le proprie esigenze: l’isolamento è il determinante negativo di salute principale. Quindi, conclude Quaranta «ci dobbiamo preoccupare di interrogare, di coinvolgere, esplorare che cosa significa benessere e salute delle persone. Su questo l’epigenetica ci sta fornendo dei dati meravigliosi, mostrando quanto le condizioni socio-economiche arrivano a condizionare al cuore l’espressione genica stessa».
Non si invecchia in modo progressivo
Da un punto di vista della scienza del Dna, il progetto Genoma ha innescato una situazione paragonabile a quella che il volo umano ha innescato per la cartografia, cioè un punto di vista completamente nuovo: «partendo da quello che era la visione della lettura del nostro Dna, lentamente si è capito che non stiamo di fronte a un programma statico, ma dinamico in cui sicuramente l’aspetto delle interferenze ambientali sull’espressione del nostro gene ha una complessità data dall’epigenetica, cioè la possibilità che i fattori ambientali sono in grado di alterare, in maniera addirittura trasmissibile, aspetti del nostro fenotipo» ha spiegato Giovanni Scapagnini, professore di Biochimica e biologia molecolare presso il Dipartimento di Medicina e Scienze della Salute dell’Università degli Studi del Molise di Campobasso.
«Un messaggio molto interessante, che emerge dallo studio dell’epigenetica, è che non si invecchia in maniera progressiva, ma ci sono momenti di crollo dell’intero sistema. I momenti più critici dell’uomo sono intorno ai 44 anni e ai 60 anni. Aspetti come nutrizione e interazione sociale hanno un impatto molto più rilevante rispetto ad altri». In particolare, è stata identificata una «categoria di composti che vengono definiti “geroprotettori” in grado di dialogare a livello epigenetico con il nostro genoma, in una logica di supporto al mantenimento dell’invecchiamento. Sono quelli identificati, negli anni con lo studio delle Blue Zone, applicando quella che viene chiamata “positive biology”, cioè lo studio di situazioni positive».
I composti identificati sono polifenoli, flavonoidi, omega 3. Queste sostanze impattano sulla salute non soltanto perché sono prebiotici che interagiscono positivamente con il microbiota intestinale, ma anche perché sono in grado di modulare l’adattamento cellulare, esattamente come dei trainer biologici.
Salute non è solo assenza di malattia
Secondo la definizione dell’Oms, per salute si intende “lo stato di benessere fisico, mentale e sociale ottimale, e non soltanto l’assenza di malattie o infermità”. «Secondo la medicina Ippocratica è molto più importante conoscere la persona affetta dalla malattia che la malattia stessa» ha ricordato Erus Sangiorgi, medico e consulente per le Medicine tradizionali Centro Oms dell’Università degli Studi di Milano. Per questo se il paziente è disponibile ad approfondire il disturbo riportato, «il farmacista al banco deve creare una relazione di empatia -attraverso ascolto, osservazione e domande- e permettere al paziente di affidarsi per poter affrontare un percorso di consapevolezza e cambiamento. Inquadrando il disturbo in modo più ampio».
In pratica, significa guardare al paziente in modo olistico, valutando l’individuo nella sua complessità di corpo, mente e spirito. Si pensi, per esempio, a un sintomo come l’ansia, c’è ansia da vuoto -per esempio, quella dell’anziano solo- e ansia da pieno, del lavoratore stressato: sembra lo stesso sintomo, ma è causato da situazioni diverse e va trattato in modo diverso.
«Il ruolo di noi farmacisti è quello di ascoltare la persona che abbiamo di fronte, anche per quei soli cinque minuti che abbiamo a disposizione» ha sottolineato Elena Vecchioni, presidente di Federfarma Verona, moderatrice dell’incontro. «Il valore della nostra professione è il valore di quella prossimità che ci permette di conoscere chi abbiamo di fronte, tutti i giorni e, quindi, di poterne comprendere i bisogni e fornire un consiglio».
(Chiara Romeo, Farma Mese N. 6-2025 ©riproduzione riservata)